di Filippo Fabbri

Definirla una contraddizione in termini è riduttivo e potrebbe strappare persino un sorriso. Peccato che di mezzo ci siano posti di lavoro e l’immagine di un Paese. Il Paese è il nostro e chiama in causa direttamente il made in Italy. Parliamo di ortofrutta, seconda voce dell’export agroalimentare, dietro solo al vino. Il settore da tempo in sofferenza nella parte produttiva è al centro di un paradosso in termini che desta non poche preoccupazioni: il mercato estero manifesta mostra numeri in flessione, contestualmente il brand “Italia” anche nel prodotto ortofrutta è uno dei più richiesti a livello mondiale. A dirlo è un recente studio del Monitor Agroter di Forlì, “Gli Stati generali”, che ha analizzato un campione di 9 mila responsabili acquisti in 9 città del mondo sul tema dell’ortofrutta.

Il risultato non lascia adito a dubbi. Si va dal dato massimo di Shanghai con il 63% di persone che comprerebbe prodotti italiani se fossero disponibili, al 62% di Pechino e Rio De Janeiro, al 55% di Nuova Delhi, per toccare il 43% di Hong Kong e 41% di New York. Un trionfo per il made in Italy. Che inorgoglisce a leggere le motivazioni di preferenza con un doppio 70% di risposte che dicono che il nostro prodotto è “sano” e “garanzia di qualità”. In sostanza c’è la percezione di un “made in Italy riconosciuto all’estero come simbolo di eccellenza”, scrive il Rapporto. Valori che sono ben presenti nei nostri produttori secondo i quali la strategia per conquistare i mercati esteri è la qualità del prodotto (44% delle risposte) e il fascino del made in Italy (36%).

Eppure c’è qualcosa che non torna. Ce lo dice Fruitimprese nel periodico bollettino sulla bilancia commerciale del settore. Perché se l’appeal internazionale c’è, peccato che il nostro export sia in sofferenza. Secondo i dati forniti dall’associazione nei primi nove mesi del 2019 il saldo economico import/export è in positivo di appena 86 milioni di euro (-83,6% rispetto a settembre 2018) mentre in volume il saldo è negativo per 117 mila tonnellate. Continua il differenziale sfavorevole al nostro export in quantità di ortofrutta: abbiamo importato per 2,7 milioni di tonnellate ed esportato per 2,6 milioni. Resta un leggero segno più nel valore: il valore dell’export è 3,1 miliardi di euro contro un valore dell’import di poco più di 3 miliardi. Le esportazioni crescono in quantità dell’1,8% ma calano in valore (-4,2%) mentre l’import cresce sia in quantità (3,9%) che in valore (10,8%). Complessivamente da gennaio a settembre le imprese italiane hanno esportato 2 milioni e 649 mila tonnellate di prodotti per un valore di oltre 3 miliardi e 147 milioni di euro. In calo il flusso di esportazione di ortaggi (-0,7% e agrumi (-9,1%) ed in aumento quello di frutta fresca (4,9%) e frutta secca (5,9). In termini economici si è registrato un incremento soltanto per gli ortaggi (1,1%) ed un calo per gli agrumi (-6,8%), la frutta fresca (-7,5%) e la frutta secca (-1,3%).

Lapidario il commento di Marco Salvi, presidente di Fruitimprese: “Le quantità importate superano quelle esportate e il saldo attivo della bilancia continua a peggiorare di trimestre in trimestre. Il comparto continua a perdere valore e quote di mercato sui mercati esteri, un combinato disposto di fattori che porta ad una riduzione delle superfici investite nel nostro Paese, con conseguente perdita di posti di lavoro e abbandono da parte delle imprese”.

In definitiva il made in Italy piace, peccato solo che fatichi ad arrivare nei canali giusti.