“Tutti vogliono essere noi” asseriva con orgoglio una presuntuosa Miranda Priestly (Merly Streep) ne “Il diavolo veste Praga”, il film che ha fatto innamorare tante ragazze dell’editoria di moda.
Già, perché un tempo erano i magazine a raccogliere il maggior numeri di inserzionisti nel settore e a dettar legge in fatto di stile. Oggi però le cose stanno cambiando e gli allegati dei grandi quotidiani internazionali stanno rubando la scena alle riviste patinate.
Pare, infatti, che i supplementi si distanzino, e anche di molto, dal calo pubblicitario che caratterizza il mercato e prosperino in termini di pubblicazione e advertising. È il caso, solo per fare qualche esempio, di How to spend it,
allegato dal 1995 alThe Financial Times, passato da quadrimestrale a essere stampato 32 volte l’anno, oppure di Wsj del Wall Street Journal, lanciato nel 2008 in America contando circa 50 inserzionisti, è oggi un mensile da 250 inserzionisti compresi Gucci, Louis Vuitton ed Hermès.
Ad attrarre le griffe è l’audience più ampia e anagraficamente superiore dei supplementi rispetto ai mensili del settore moda come Elle o Vogue, vantando inoltre una ricchezza culturale maggiore molto apprezzata dai luxury brand, senza considerare che i supplementi possono far affidamento sull’autorevolezza dei quotidiani e che, essendo per l’appunto allegati a questi, non devono essere acquistati a parte.
Ovviamente i magazine di moda non se ne stanno a guardare e corrono ai ripari proponendo modelli editoriali freschi e nuovi che viaggiano soprattutto in rete con app dedicate per tablet e smartphone.
Chi vincerà questa battaglia a colpi di fashion adv?